Economia

35
L’articolo getta le basi per una dettagliata regolamentazione giuridica posta a tutela del lavoratore, in modo particolare del lavoratore subordinato.
La riforma del diritto del lavoro ha portato alla creazione di nuove tipologie contrattuali, queste hanno concorso ad ampliare le opportunità lavorative, sebbene accrescendone la precarietà.
In materia di lavoro il nostro Paese ha sottoscritto vari accordi intesi all’affermazione e regolamentazione dei diritti del lavoratore. Si può ricordare, a questo proposito, le convenzioni adottate su iniziativa dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL).
L’ultimo comma dell’art. 35 riconosce la libertà di recarsi all’estero per svolgere un’attività lavorativa. Tale libertà si accompagna all’impegno a tutelare il lavoratore italiano all’estero, evitando che sia fatto oggetto di trattamenti sfavorevoli e poco rispettosi dei suoi diritti. Tale tutela si realizza per mezzo di accordi internazionali, come quelli citati nel terzo comma dello stesso art. 35.

Lo Stato potrebbe fare di più per tutelare i lavoratori? Focus sulla sicurezza sul lavoro
Lo Stato, per tutelare i lavoratori, deve innanzitutto partire dalle imprese: se l’impresa è economicamente stabile e funziona bene nel mercato e nel suo ambiente interno ed esterno, allora potrà prendersi cura nel modo migliore dei propri lavoratori, se invece l’impresa arranca e ha difficoltà di qualsiasi genere, dovrà prima occuparsi di questi problemi e poi, solo in secondo luogo, potrà soddisfare le richieste dei lavoratori. Quindi la domanda diventa: lo Stato può fare di più per le imprese? La risposta è sì, ed ecco cosa.
• Sostenere le aziende nei piani di adeguamento della sicurezza. Questo significa offrire incentivi che spronino gli imprenditori ad agire in questo senso.
• Organizzare controlli regolari per verificare la sicurezza dell’impresa. Chi non è in regola deve essere sanzionato, questo motiverebbe gli imprenditori a usufruire degli incentivi sopracitati.

Casi reali
Il muratore che cade dall’impalcatura, l’operaia che si incastra nel macchinario, quante volte si sentono dire queste notizie al telegiornale?
Nel 2021 sono morti 1.404 lavoratori per infortuni sul lavoro, di questi 695 sui luoghi di lavoro (+18% rispetto all’anno 2020). Questo trend va avanti da 14 anni senza miglioramento, è quindi il caso di definire la situazione molto grave.

Lo Stato come tutela il lavoro italiano all’estero?
Lo svolgimento di un’attività lavorativa all’estero pone, sotto il profilo assicurativo e previdenziale, il problema di una esatta individuazione della legislazione di sicurezza sociale e fiscale applicabile, in virtù del Paese extracomunitario in cui il lavoratore migrante presta la propria attività. In particolare, gli adempimenti contributivi e previdenziali, nonché quelli amministrativi e fiscali, cui sono tenuti i datori di lavoro operanti all’estero e i lavoratori migranti, assumono diversi contenuti e modalità a seconda del Paese di lavoro, legato all’Italia da una convenzione in materia di sicurezza sociale, ed a seconda della cittadinanza, italiana o straniera, dei lavoratori occupati.
L’art. 35, comma quarto, della Costituzione “riconosce la libertà di emigrazione, salvo gli obblighi stabiliti dalla legge nell’interesse generale, e tutela il lavoro italiano all’estero”.
La tutela del lavoratore italiano all’estero è garantita da una serie di disposizioni normative che, nel regolare il rapporto di lavoro, prevedono specifici adempimenti in campo previdenziale, assistenziale, sanitario, ed in materia di collocamento.

Come può lo Stato disincentivare la “fuga di cervelli”?
L’attenzione del legislatore non dovrebbe essere rivolta esclusivamente agli incentivi sul rientro dei cervelli, ma anche su meccanismi premiali in grado di incentivare la permanenza dei giovani talenti direttamente in Italia.
• Realizzare un sistema di defiscalizzazione differenziato in base alla qualità delle posizioni e dei profili, oltre che alle esigenze espresse dalle imprese, e che possa applicarsi sia nell’ottica di agevolare il rientro in Italia che per trattenere i potenziali in atto di andare all’estero.
• Predisporre incentivi fiscali direttamente rivolti a trattenere i talenti in Italia
• Rispondere concretamente alla domanda di formazione e competenze garantendo un coinvolgimento continuativo e strategico del fronte universitario e aziendale mediante dialogo deputato alla diagnosi e all’intervento sui reali fabbisogni di professionalità.

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La retribuzione dell’attività lavorativa costituisce un’insostituibile fonte di sostentamento per il lavoratore stesso e per la sua famiglia. Il principio per il quale tale retribuzione deve essere proporzionata alla quantità e qualità del lavoro svolto costituisce, dunque, un imprescindibile criterio di giustizia, anche dal punto di vista economico.
Grazie a questa norma vengono dunque bandite forme di sfruttamento del lavoratore spesso verificatesi in epoche passate. Il lavoro diviene inoltre uno strumento di promozione sociale e umana del lavoratore.
Il secondo comma si sofferma su un altro aspetto fondamentale per il lavoratore: il tempo da dedicare giornalmente allo svolgimento delle proprie attività. È del 1923 la prima regolamentazione legislativa che ha fissato in otto ore tale durata, per un massimo settimanale di quarantotto, tenendo conto del giorno libero. Questo limite ha subito in seguito un ulteriore abbassamento a quaranta ore, fatte salve le specifiche previsioni a tutela di alcune categorie di lavoratori, come i minori e le madri lavoratrici.
Non sempre il riposo settimanale coincide con il giorno festivo: ciò dipende dal tipo di attività svolta, come ad esempio nel caso di servizi pubblici o processi produttivi che non possono subire interruzioni, neppure nei giorni festivi.
Per consentire al lavoratore l’instaurazione di un giusto equilibrio psicofisico, questi deve poter godere
di ferie annuali retribuite, usufruibili anch’esse in tempi e modi compatibili con il tipo di lavoro svolto. L’ordinamento garantisce al riposo settimanale e alle ferie retribuite la massima tutela, in quanto esse sono irrinunciabili per il lavoratore.

Lo Stato come tutela i lavoratori per quanto riguarda il tema della retribuzione? (riferimento al CCNL)
Il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) è la fonte normativa attraverso cui le organizzazioni rappresentative dei lavoratori e le associazioni dei datori di lavoro (o un singolo datore) definiscono concordemente le regole che disciplinano il rapporto di lavoro.
I CCNL affrontano temi di diversa natura, ma solitamente sono composti da due parti a seconda della tipologia delle regole e della loro efficacia sui rapporti di lavoro individuali e nello specifico:
• la parte normativa, riferita ai rapporti datore di lavoro-dipendente, con le tabelle retributive e le regole fondamentali del rapporto di lavoro, tra cui orario, permessi, straordinario, ferie e non solo;
• la parte obbligatoria o economica, con le regole che andranno a disciplinare i futuri rapporti reciproci tra le controparti collettive del contratto, cioè i sindacati e le associazioni di imprenditori firmatarie dello stesso.
Ciò significa che lo Stato tutela i lavoratori sul tema della retribuzione attraverso i contratti collettivi di categoria.

Giorgia Galli

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L’articolo 37 si sofferma su un argomento molto importante e ancora presente, ossia la parità di genere nel mondo del lavoro. Le donne spesso tendono a essere sottovalutate e discriminate nel mondo del lavoro. Ci sono differenze molto notevoli anche a livello gerarchico, spesso le donne tendono ad essere una seconda scelta a livello lavorativo. La maggior parte delle volte se un uomo e una donna sono allo stesso livello gerarchico in una azienda e solo una delle due potrà ricevere una promozione, 9 volte su 10 viene scelto l’uomo. Sin dall’antichità la figura femminile viene sminuita e si ha sempre avuto la preferenza di una figura lavorativa maschile. Negli anni ‘90 si è introdotto il termine di “uguaglianza sostanziale” ossia che le leggi, oltre ad essere uguali per tutti, devono però prevedere leggi speciali a favore delle categorie più deboli. Nonostante ciò lo Stato ha cercato di favorire, a causa di comportamenti sociali e modelli culturali adottati dalle persone, le persone di sesso maschile nel mondo del lavoro. Sicuramente al giorno d’oggi la situazione è migliorata, ma troppo poco. Ci sono ancora molte donne che non riescono ad avere successo o vengono penalizzate nel mondo del lavoro solo perché sono donne. Un esempio recente è quello di Alessia, mamma di 31 anni, ha dovuto lasciare il lavoro a causa della maternità. Dopo la nascita del figlio, fece molte richieste di colloqui e in media in un colloquio di 40 minuti ha passato solo 10 minuti a parlare delle sue competenze nel lavoro e il resto del tempo ha dovuto passarlo a rispondere a domande personali sulla maternità. “ Crede di riuscire a reggere il carico di lavoro? Ha già pensato a come organizzarsi con la bambina? Ha nonne o zie che le possono dare una mano se la bimba è malata? E in casa ha già pensato a come organizzarsi?”. Alessia è un esempio di come la maggior parte delle persone del mondo del lavoro vede le donne, ancora in una mentalità arretrata.
Inoltre, l’articolo 37 tocca anche il punto del lavoro minorile. È vietato il lavoro ai bambini di età inferiore a 15 anni. Il problema del lavoro minorile è ancora molto frequente in molti casi del mondo, in Italia ormai è un problema non molto frequente, tuttavia ci sono ancora persone, soprattutto nel sud Italia che permettono la pratica del lavoro minorile. Qui sotto riportato, una parte di un notiziario riguardo a un caso in Sicilia.
“Furgoni che partono dai centri cittadini coordinati dai caporali per accompagnare ragazzi e ragazze minori, migranti e donne nei campi della Sicilia orientale. Sfruttati senza regole, contratti e controlli. Costretti ad alzarsi alle quattro del mattino senza avere la certezza di un lavoro e, soprattutto, di una paga equa e in regola e di un orario certo. Migliaia di persone pagate pochi euro al giorno costrette a sottostare alle regole imposte dai caporali.” Naturalmente dal 2015 ad oggi si spera che questo caso sia ormai risolto. Sono ancora molto presenti in tutto il mondo casi di lavoro minorile, soprattutto nei paesi sottosviluppati del mondo.

Chiara Abenante

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L’obiettivo dell’art.38 della Costituzione è quello di garantire, a coloro che non sono in condizioni di lavorare, perché hanno un handicap, perché sono anziani o malati, perché disoccupati in modo involontario, i mezzi economici necessari per poter vivere.
Questo risultato viene raggiunto mediante l’assistenza e la previdenza sociale, ovvero una serie di prestazioni economiche a favore di tali soggetti: in questo modo si realizza lo Stato sociale. I mezzi necessari per l’erogazione di queste prestazioni sono ottenuti attraverso i tributi pagati dai cittadini.

A tal fine gli istituti più rilevanti di cui l’ordinamento si è dotato sono l’INPS, che gestisce la tutela previdenziale degli occupati in imprese private e l’INAIL che, invece, ha copre il settore dell’infortunistica sul lavoro. Su tale previsione costituzionale si fonda il sistema delle assicurazioni sociali obbligatorie, il cui scopo è quello di predisporre una tutela rivolta sia ai lavoratori subordinati, sia ai produttori di redditi da lavoro autonomo e libero professionale nel momento in cui sorge il bisogno di disporre di mezzi adeguati per far fronte a eventi come la vecchiaia, l’invalidità, la malattia, la disoccupazione involontaria e l’infortunio, ovvero la morte. Nel sistema vigente, la gestione delle forme di previdenza obbligatoria è dunque affidata, da una parte, a un ente pubblico, l’INPS, che assicura la maggior parte dei lavoratori dipendenti del settore privato e pubblico e i collaboratori; dall’altra, agli Enti di previdenza dei liberi professionisti (Casse Geometri, Ingegneri e Architetti, Forense, Medici, Veterinari, Notariato, Dottori commercialisti, Ragionieri e periti commerciali, Farmacisti, Consulenti del lavoro, Impiegati dell’Agricoltura, FASC, ENASARCO, INPGI e ONAOSI), già enti pubblici, che hanno deliberato la propria trasformazione in enti con personalità giuridica di diritto privato mantenendo tuttavia la finalità pubblica. A tali enti, si sono aggiunti altri enti di previdenza di diritto privato dei liberi professionisti di nuova istituzione, (ENPAB, ENPAP, EPPI, EPAP, ENPAPI, Gestione separata ENPAIA e Gestione separata INPGI), anch’essi con finalità pubblica.
A tali forme di previdenza obbligatoria di primo pilastro si affiancano le forme di previdenza complementare su base volontaria. La diffusione della previdenza complementare è legata alla previsione che le pensioni di primo pilastro, a causa del progressivo aumento della durata della vita media e delle diverse modalità di calcolo, divengano nel tempo sempre più basse, in rapporto all’ultima retribuzione percepita. A tutela dei soggetti che aderiscono con i loro risparmi alle forme di previdenza complementare (fondi pensione) vigila la COVIP (Commissione di vigilanza sui fondi pensione) mentre al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali sono affidati compiti di alta vigilanza e di indirizzo sulle forme pensionistiche complementari.

Altra forma assicurativa legata al mondo del lavoro è l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali gestita dall’INAIL, ente pubblico non economico, che ha il compito di assicurare un sostegno in caso di infortunio capitato ai lavoratori dipendenti che svolgono attività sottoposte a tale rischio, di garantire il reinserimento nella vita lavorativa degli infortunati sul lavoro e di realizzare attività di ricerca e sviluppare metodologie di controllo e di verifica in materia di prevenzione e sicurezza. In considerazione della “natura pubblica” dell’attività svolta da tutti i suddetti enti (INPS, Enti di previdenza privati e INAIL), la legge affida al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali (di concerto con il Ministero dell’Economia e delle Finanze) un sistema organico di controlli, costituiti dal monitoraggio sull’attività svolta, dal vaglio degli atti più rilevanti e dalla previsione di strumenti di “controllo sostitutivo” (nomina di commissari) nei casi e alle condizioni previste dalla legge stessa.

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I sindacati sono delle associazioni che hanno come obiettivo principale quello di rappresentare i lavoratori, tutelandone gli interessi attraverso la firma di contratti collettivi. A tal proposito, è opportuno ricordare che i contratti collettivi sono degli accordi vincolanti, attraverso i quali si regolamenta il trattamento economico (salario, ferie, orario di lavoro) e normativo dei lavoratori (sicurezza sul lavoro, possibilità di effettuare assemblee, ecc.).

I sindacati hanno altri compiti oltre a quello relativo alla stipula dei contratti collettivi; in particolare:
verificano che le aziende rispettino le normative dettate per lo svolgimento delle proprie attività e i diritti dei lavoratori;
raccolgono le richieste dei lavoratori e ne tutelano gli interessi collettivi;
forniscono assistenza nelle controversie di lavoro, supportando i lavoratori nelle cause di licenziamento e nel caso di procedimenti disciplinari;
controllano i documenti relativi al rapporto di lavoro e le buste paga;
assistono e tutelano i diritti dei lavoratori nei confronti degli enti previdenziali e assicurativi (Inps e Inail);
offrono consulenza ed assistenza per il disbrigo di pratiche burocratiche e fiscali;
organizzano corsi di formazione e di qualificazione professionale per i lavoratori disoccupati;
organizzano manifestazioni e scioperi a livello nazionale e territoriale.

I sindacati, dal punto di vista giuridico, sono delle associazioni non riconosciute, alle quali si applicano le norme previste per tali tipi di organizzazioni dal codice civile o dalle leggi dello Stato. Sono organizzati secondo:
una struttura verticale, in base alla categoria merceologica, al settore produttivo o per ramo d’industria. In tale struttura rientrano i sindacati e le federazioni di categoria del settore produttivo che compongono le confederazioni;
ed una struttura orizzontale, che comprende tutti i lavoratori dei vari settori produttivi presenti in un determinato territorio. La struttura orizzontale è costituita dalle strutture intersettoriali o confederali, dove si riuniscono tutte le strutture associative del sindacato quali ad esempio gli organismi di ricerca o quelli di formazione.
La struttura verticale e quella orizzontale confluiscono nella confederazione. Attualmente, le confederazioni italiane più importanti sono:
la Cgil, di ispirazione comunista e socialista;
la Cisl, di ispirazione cattolica;
la Uil, di ispirazione socialdemocratica

Per quanto riguarda ciò che i sindacati non sono autorizzati a fare è ovvio che essi si debbano attenere alla legge per quanto riguarda le materie trattate, ma è anche vero che la libertà sindacale rimarrebbe un principio astratto se non si evolvesse in “diritto sindacale” all’interno dell’impresa. Da qui nasce la preoccupazione dello Statuto dei Lavoratori di rendere effettivo ed esigibile il principio di libertà sindacale all’interno dei luoghi di lavoro. La libertà di organizzazione sindacale deve necessariamente espandersi sino a consentire l’attivazione di situazioni strumentali in grado di attivare efficacemente l’azione sindacale nei luoghi di lavoro. Poiché, se l’esercizio in azienda della libertà sindacale fosse lasciato alla mercé dei rapporti di forza, risulterebbe poco incisivo, stante l’incombenza del potere organizzativo dell’imprenditore.
Per questi motivi, lo Statuto dei Lavoratori, al titolo II, ha ricondotto a specifiche “situazioni di diritto”, adeguatamente protette, lo svolgimento, da parte di soggetti sindacali particolarmente qualificati, di alcune attività sindacali nell’impresa, cui necessariamente corrisponde una situazione di obbligo in capo al datore di lavoro.
Infatti, mentre la libertà sindacale generalmente intesa implica un’immunità nei confronti del potere sanzionatorio dello Stato e del datore di lavoro, il diritto a svolgere una specifica attività sindacale comporta l’immediato sacrificio delle ragioni tecnico-produttive. I diritti sindacali servono a rafforzare il sindacato come forma istituzionale e di autotutela esclusiva, attribuendogli prerogative volte a privilegiare il momento collettivo rispetto all’esercizio individuale delle libertà fondamentali. In particolare, è necessario consolidare sul piano legislativo alcune conquiste sindacali e tentare un delicato coordinamento tra gli istituti di sostegno del sindacato nei luoghi di lavoro e le esigenze imprenditoriali.

Ethan Aris Bianchi

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Il diritto di sciopero, regolato dall’articolo 40 della costituzione, si basa in una astensione collettiva dal lavoro da parte di lavoratori subordinati che di regola viene indetto dai sindacati. Lo scopo dei lavoratori che scioperano è quello di sollecitare migliori condizioni di lavoro, ad esempio in ordine alla retribuzione o all’orario di lavoro, ma può anche tendere a fini diversi, come quello di evitare licenziamenti, di contestare l’autorità (sciopero politico) o di sostenere le richieste di altri (sciopero di solidarietà).
Il diritto di sciopero è, come ha stabilito la Corte costituzionale, un “diritto individuale ad esercizio collettivo”, la cui titolarità è attribuita ai “soggetti contrattualmente deboli”: i lavoratori subordinati, i dipendenti pubblici e i lavoratori autonomi parasubordinati. La Corte costituzionale ha escluso il riconoscimento del diritto di sciopero per i liberi professionisti e ha affermato la legittimità di stabilire alcuni limiti riguardanti i militari nonché gli appartenenti alla Polizia di Stato e a quella penitenziaria.

41
L’art. 41 delinea un modello di economia mista, in cui l’iniziativa privata convive con quella pubblica: lo Stato, cioè, non si limita a individuare i limiti entro i quali può muoversi l’iniziativa privata, ma opera anche come proprietario o gestore di aziende.
La formulazione indeterminata dell’art. 41 ha dato luogo a numerose controversie interpretative, che hanno riguardato il rapporto tra l’enunciazione del principio “l’iniziativa economica privata è libera” e le indicazioni contenute nel secondo e nel terzo comma, che sono delle disposizioni di carattere limitante. La Costituzione è nata da un incontro tra idee politiche e impostazioni economiche molto diverse: questa difficoltà interpretativa dell’articolo ne è forse la testimonianza.

Stefano Dallo

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La proprietà è pubblica o privata. I beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a privati. La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti. La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d’interesse generale.
La legge stabilisce le norme ed i limiti della successione legittima e testamentaria e i diritti dello Stato sulle eredità.
ENNIO DI LALLA
Ultimamente si è diffusa una notizia su questa tema, essa riguarda il signor Ennio Di Lalla, 86 anni, lo scorso 14 ottobre si è allontanato da casa sua per svolgere alcuni accertamenti clinici. Fin qui nulla di strano se non fosse che al suo ritorno ha trovato la porta della sua casa con una serratura diversa. Persino il nome sul campanello ha trovato cambiato: Sinanovic Nadia è il nome che è stato scritto.
La rom, quando interrogata dalle forze dell’ordine sul perché avesse compiuto questo gesto, ha sempre fornito versioni diverse. La prima volta ha asserito di essere incinta poi di essere positiva al Covid. Infine, ha anche affermato che l’abitazione gli era stata donata dal signor Di Lalla perché era la sua amante. Tutte circostanze ovviamente smentite dalla vittima. Ennio non ha amanti e soffre di diverse patologie che spesso non lo fanno stare bene e quando questo accade va a stare a casa del fratello per qualche giorno, come accaduto dal 9 al 14 ottobre. Proprio i giorni in cui è stato sbattuto fuori da casa sua. L’uomo per 21 giorni è stato costretto a rimanere fuori la sua abitazione e gli è anche stato impedito di recuperare i suoi effetti personali: dal vestiario ai farmaci, compresi i documenti sanitari per lui indispensabili.
Gli occupanti della casa dovrebbero essere stati 4 donne e 2 uomini. Nell’immediato neanche le forze dell’ordine hanno potuto fare nulla. I carabinieri, infatti, hanno spiegato alla vittima che non trattandosi di un furto in corso non potevano procedere allo sfratto forzato poiché per questo intervento è necessario che sia un giudice a dare l’ordine. Ventuno giorni dopo però è stato emanato un decreto di sgombero. Come spiega il Messaggero, i carabinieri hanno avuto l’ordine di sgomberare i rom che hanno occupato illegalmente la dimora situata nel quartiere Don Bosco di Roma. Il Gip ha disposto un sequestro preventivo e il Pm l’ha firmato stabilendo che la casa torni immediatamente all’uomo. Il decreto è stato notificato e questa mattina i carabinieri, dopo aver fatto un sopralluogo hanno portato in caserma Di Lalla per dargli la notizia. La casa quando i militari sono arrivati era già vuota. Ora, una volta cambiati i sigilli, la dimora tornerà al signor Ennio.
In conclusione:
Nella Costituzione italiana, non è così esplicita la connessione tra la proprietà dei beni e la libertà della persona.

Andrea Brutto

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